Manifesta, la grande biennale nomade europea, approda a Palermo nell’anno in cui la città è anche Capitale Italiana della Cultura. Il titolo della sua dodicesima edizione è Il Giardino Planetario. Coltivare la Coesistenza. Facendo perno sulla lunghissima tradizione di accoglienza, tolleranza e mescolanza culturale di Palermo, Manifesta si propone di ragionare su quale sia una direzione possibile per l’umanità che creda ancora in questi valori; e lo fa attraverso una ampia selezione di opere distribuite in sedi che punteggiano il tessuto urbano della città, svelandolo con garbo al visitatore.

Il vero punto di forza della curatela è la forte integrazione con i luoghi espositivi, la capacità di sfruttare gli ambienti (le vie, i giardini, i palazzi, le chiese abbandonate) per la coerenza di un proprio discorso artistico, riuscendo allo stesso tempo a valorizzarne l’importanza e il significato. Gli esempi sono tanti, dai più scontati – ma non per questo meno significativi – come l’Orto Botanico o la Casa del Mutilato; a quelli più inaspettati: il quartiere ZEN2, Pizzo Sella, ma anche Palazzo Costantino.
Questa capacità narrativa di combinare città e opere consente a Manifesta di trascendere la qualità stessa delle singole opere, spesso poco più che discreta, per raggiungere un piano di discorso collettivo convincente e fortemente coinvolgente.

La stanza dei bottoni

Paradossalmente il meglio artistico viene espresso nelle opere più decentrate rispetto alla filosofia di fondo del Giardino Planetario. La sezione Out of Control Room si preoccupa di analizzare le strutture di potere contemporanee che sfuggendo alla usuale istituzionalizzazione nazionale o sovranazionale si pongono come le vere dominatrici della nostra epoca. La fusione della globalizzazione economica con la tecnologia digitale ubiquitaria ha portato a un profondo smottamento nella tradizionale costellazione di gestione del potere; il conseguentemente rivolgimento non è assicurato come esclusivamente negativo. Come ben mostra Tania Bruguera a Palazzo Ajutamicristo con la sua opera sul movimento NoMUOS, le stesse dinamiche che possono portare a uno spiazzamento possono essere usate dal basso per creare reti spontanee di affermazione di diritti.

I giardini

Garden of Flows si occupa, principalmente con la sede dell’Orto Botanico e di Palazzo Butera, di svolgere il tema che dà nome alla mostra. Il concetto di Giardino Planetario ideato dal botanico francese Gilles Clément – presente in mostra con una sua opera laboratorio allo ZEN2 – ben si presta a quell’idea di rispetto e coesistenza di uomini con uomini, e uomo con natura. Nell’idea di un giardino che comprenda l’intero creato, l’uomo passa da dominatore incontrastato che si culla nell’illusione del controllo totale della sua vanità tecnica, a quello di umile giardiniere che attende al benessere del creato, insieme al suo. Questa visione – molto simile a quella di una filosofia orientale ormai perduta – permea la visita al magnifico Orto Botanico che ospita alcune tra le opere più brillanti e meglio integrate di Manifesta. L’opera di Zheng Bo esplora la possibilità paradossale di un amore carnale tra uomini e felci in un suggestivo video nascosto tra bamboo giganti; mentre Michael Wang con il suo eccellente The Drowned World si occupa dell’inconscio biologico dei combustibili fossili su cui la nostra vorace civiltà si fonda.

La città al centro

Palermo è invece protagonista della sezione City on Stage dedicata a mostrare la realtà di mescolanza e fusione di culture che ha storicamente caratterizzato la città al centro del Mediterraneo. Il riferimento culturale di fondo è ai celeberrimi siti Patrimonio dell’Unesco come la Cattedrale della città e il Palazzo dei Normanni, dove coesistono rafforzandosi stili arabi, bizantini e normanni. Ma non solo: questa intersezione di storie e culture si è ripetuta a lungo nella città, la stessa Manifesta ne eredità nobilmente il testimone.

Lontano dal centro della città la mostra dà il suo meglio antiretorico: il progetto di giardino cittadino, ospitato allo ZEN2, realizzato da Gilles Clément con la popolazione residente è un esempio di collaborazione – non imposto dall’alto e apparentemente accettato dopo qualche comprensibile diffidenza iniziale. I tour guidati organizzati dal team di Manifesta si preoccupano di contestualizzare storicamente e socialmente il quartiere e l’opera incarnando al meglio la missione della “città sul palcoscenico”, com’è il titolo della sezione. L’arte può agire direttamente sul tessuto sociale? Allo ZEN2 l’ambizione è questa, ma solo il tempo dirà quanto permanente e significativo è questo intervento; negarne a priori la possibilità pare ingeneroso e miope.
L’affascinante trasformazione rispettosa realizzata dallo studio Rotor sulla Collina di Pizzo Sella mostra invece come, pur con interventi minimi, si possa restituire un po’ di onore alla collina nota in Italia solo per l’abusivismo edilizio.

Collaterali

Diseguale il contributo massiccio di eventi collaterali che costellano la città e continuano in maniera meno esplicita il discorso delle tre sezioni principali; mentre merita una menzione speciale il programma 5x5x5 che presenta forse l’opera artisticamente più convincente vista a Palermo: Berlinde de Bruyckere presenta nella Chiesa di Santa Venera il suo dittico Mantel e mette in dialogo spiritualità, materialismo, storia dell’arte e architettura sacra. Il tentativo di un grande omaggio a una nobile tradizione che continua nonostante tutto. Un po’ come Palermo.

Al di là delle polemiche sui costi e sulle scelte politiche, Manifesta 12 compie onestamente il suo lavoro di riflessione sulla contemporaneità attraverso l’arte, usando la storia e la città di Palermo come lente d’ingrandimento. Pretendere da essa qualcosa di più è sbagliare bersaglio. E forse il suo miglior pregio è guardare con ottimismo al futuro – nonostante tutto, al di là della paura e verso il giardino planetario.

Marco Gandolfi
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