La Scuola di New York è nota anche in gergo giornalistico come il gruppo degli Irascibili. Questa etichetta che semplifica e in parte sminuisce la rilevanza teorica per la storia dell’arte dell’Espressionismo Astratto forse spiega come sia addirittura possibile che una mostra di una certa popolarità e dedicata al pubblico non specialista venga non solo pensata, ma anche realizzata. La riduzione, compiuta nel nome, della portata innovativa del movimento a una attitudine caratteriale dei suoi componenti svela la classica ambivalenza che caratterizza l’accoglienza di molti movimenti artistici che si pongano come antitesi o momento di rottura rispetto a uno status quo; da una parte il desiderio di evidenziarne i caratteri di irriducibile diversità, dall’altra quello di incasellarlo in una “normalità” addomesticabile.

Jackson Pollock

Nato nel secondo dopoguerra, il movimento segna in modo simbolico l’eclisse dell’Europa a favore degli Stati Uniti anche nella cultura highbrow, per usare appunto una terminologia che sancisce questo predominio pure nel linguaggio. Lo spostamento della capitale dell’arte occidentale da Parigi a New York si realizza qui attraverso una rivoluzione stilistica e concettuale che porta alla predominanza della gestualità come mezzo di espressione pittorica: la tela diventa testimonianza di una traccia, la fedele riproposizione di un gesto. Merito principale della mostra al Vittoriano Pollock e la Scuola di New York è illuminare questa (quasi) univoca determinante tra le pur variegate incarnazioni del movimento. In questa opera di chiarificazione emerge anche quanto ogni generalizzazione sia come sempre solo parzialmente vera, pur avendo il merito di riassumere sinteticamente una disparata complessità che può intimidire.

Franz Kline

La rilevanza della Scuola appare sostanzialmente essere tecnica e quasi filosofica – una sorta di soliloquio quasi da arte per l’arte. Da cui la retrospettiva sorpresa nel constatare il suo successo presso il grande pubblico. Insomma, pur non avendo la popolarità di una mostra sugli Impressionisti francesi, la presa di Jackson Pollock e compagni è notevole. Ma l’ambivalenza citata in apertura può anche sciogliersi nella direzione un poco trita dell’accusa di decorativismo mossa a più riprese al movimento. Solo tenendo conto delle semplificazioni giornalistiche e dei meriti e limiti del movimento si può comprendere meglio come mai Mark Rothko preferisca mettere in evidenza l’esperienza religiosa delle sue tele, o Pollock la sua tecnica sciamanica. In altri termini: gli espressionisti astratti sembrano quasi vergognarsi della loro rilevanza teoretica nel flusso storico dell’arte occidentale, per rifugiarsi chi nel personaggio da artista maledetto, chi nello spiritualismo da quattro soldi.

Mark Rothko

Ma esiste anche almeno un caso di inequivocabile presa di coscienza e affermazione: Franz Kline dovrebbe esserne considerato il rappresentante più rilevante e significativo nella sua radicale progressione dalle premesse del movimento. E la mostra lo testimonia alla perfezione mettendolo accanto ai suoi compagni più o meno noti: emerge la sua opera fatta di gestualità solo parzialmente astratta, ma asciugata da elementi spuri. Una essenzialità quasi zen. E d’altra parte il riferimento non è così campato in aria: la storia dell’arte cinese e giapponese vanta infatti una tradizione millenaria – sia calligrafica che pittorica – in cui il gesto emerge quale punto imprescindibile dell’espressione artistica.

Il gesto

La tortuosità del percorso fisico che caratterizza l’allestimento del Vittoriano è un piccolo neo di una mostra che ha anzitutto uno scopo didattico. Inserendo i nomi più noti del movimento – appunto Pollock, Rothko e Kline – in un percorso ampio e ricco di figure secondarie, epigoni o precursori che siano, riesce a mostrarci l’evoluzione di queste forme pittoriche che vanno dal drip painting al color field, fino alle astrazioni minimaliste. La rilevanza dell’Espressionismo Astratto appare duplice: da una parte sancisce lo spostamento del baricentro geografico dell’arte verso gli USA, preparando il terreno per la consacrazione pop; dall’altra contiene in sé già i semi di quanto verrà rielaborato in Europa e non solo, attraverso i mille rivoli dell’informale. Mostrando quanto facilmente la forma possa farsi sostanza, il gesto espressione, la Scuola di New York ha anticipato il successo della pop art nel coniugare la raffinatezza intellettuale dell’elaborazione concettuale dell’arte postmoderna con la sua accessibilità.

Pollock e la Scuola di New York, dal 10 10 2018 al 24 02 2019 Complesso del Vittoriano, Roma.

Marco Gandolfi Ama l’arte. Prova a condividere l’amore.