Il semplice titolo La Lune potrebbe trarre in inganno il visitatore: nella prestigiosa sede del Grand Palais di Parigi, la mostra, curata da Alexia Fabre e Philippe Malgouyres, è mossa da un’ambizione smisurata. Fare luce sul significato culturale tout court del satellite del nostro pianeta; e questo senza limitazioni di tempo, disciplina o luogo. L’ampio discorso che attraversa la mostra mette assieme le missioni Apollo e la mitologia greca, l’arte africana contemporanea e l’iconografia cristiana, l’antico Egitto e la cartografia lunare europea dell’ottocento. Che la coerenza sia comunque mantenuta può apparire lunare – per usare un termine che aiuta a citare un altro aspetto della mostra: quello dell’analisi linguistica.
Il punto di partenza dell’analisi che la mostra compie è il viaggio. Si tratta del viaggio che il visitatore compie nell’immaginario della Luna che comincia a sua volta con un un doppio viaggio: quello reale delle missioni Apollo che portarono l’uomo sulla luna e quello sognato, infinitamente più affollato, che ha visto misurarsi infiniti artisti con il tema. Basterà citare il Viaggio nella Luna di Méliès per rendersi conto della pervasività di alcuni topoi associati a questa esplorazione immaginaria su tanti risultati anche recentissimi della fantascienza.
Mircea Cantor con il suo The Second Step (2005-2019) si mette nella posizione mediana tra queste due tipologie di viaggio e le fa sue: il suo disco lunare di cemento replica la seconda impronta d’uomo sul suolo lunare, quella di Aldrin, invece della più famosa di Armstrong. In questo scarto rispetto alla normalità sta già un primo punto illuminante sulla condizione del simbolo Luna: così onnipresente ai nostri occhi, citata da innumerevoli opere d’arte, misurata e analizzata dalla scienza, pare essersi trasformata in un luogo scontato, appunto da secondi passi. Eppure la sua faccia oscura, resa così celebre da diventare un’icona pop grazie ai Pink Floyd, è sempre inaccessibile. Apparentemente dominata in ogni suo aspetto, ma sempre e comunque sfuggente.
Gli elementi contraddittori che la cultura occidentale ha attribuito alla Luna sono in un certo senso la sua caratteristica; proprio in questa contraddizione più volte si è celebrata la più rivelatrice di queste associazioni. Per la cultura occidentale la Luna è il simbolo per eccellenza della femminilità: cangiante come questa muta nel cielo, oscura e brillante, misteriosa e affascinante. Ovviamente la definizione culturale sancita dal maschile fa anche riferimento ad aspetti quali l’isteria e la nevrosi che comodamente associa al femminile per esplicitare il sottotesto astronomico: così come la luce della luna è il riflesso di quella solare, allo stesso modo dovrebbe la gerarchia tra maschio e femmina essere sancita naturalmente. Che di naturale non ci sia nulla dovrebbe essere ben chiaro, ma nel dubbio la controprova che la Luna egizia è associata al maschile arriva nell’affascinante stanza che realizza una sorta di analisi simbolica comparata tra culture diverse.
Le insondabili profondità simboliche della Luna si sono accumulate nei millenni, ma la più vertiginosa opera di feticismo lunare è avvenuta negli ultimi secoli, ad opera della Scienza. È ovvio che sia così per almeno due motivi: la prossimità dell’oggetto celeste e la sua naturale evidenza, ma anche il suo onnipresente significato culturale. Quindi il nuovo sistema di valori che è la Scienza ha affrontato la questione in grande stile: in mostra si racconta l’evoluzione della cartografia lunare nei secoli, la letterale smitizzazione del satellite, a partire dalla sua superficie. La scoperta dei crateri lunari è stata simbolicamente il primo gesto di affermazione del metodo scientifico rispetto alle pretese dogmatiche delle teorie aristoteliche sulla perfezione delle alte sfere. Poi arriverà la fotografia e gli atlanti della Luna. Che il trionfo di Apollo XI coincida con il rischio della distruzione termonucleare della guerra fredda è probabilmente un’altra di quelle contraddizioni che si possono collegare a questo corpo celeste e al nostro rapporto con esso.
La Luna compare in tutte le religioni come simbolo di qualcosa: dal Cristianesimo all’Islam, dall’Induismo all’antico Egitto. La Scienza ne ha cancellato – forse solo temporaneamente – il carattere mitico, ma nulla ha potuto e mai potrà sulla potenza estetica e l’influsso esercitato su poeti, pittori e artisti in generale. La mostra prova a dare qualche esempio, lo fa con sorprendente e meravigliosa varietà: si va da Chagall a Canova, dalla statua della triplice Ecate romana fino all’arte contemporanea. Il fascino umano per la bellezza intangibile della Luna è senza fine: il tributo che le rende il Grand Palais è degno di tale magnificenza.
Ma la vera grandezza de La Lune è invece su un piano superiore, nel riuscire ad indagare un inconscio su cui poggia inevitabilmente non solo l’arte ma ogni espressione culturale: sta nell’aver compreso come scrutando il simbolico che è associato alla Luna da diverse impostazioni di pensiero (religioni, scienze, arti) si vada a svelarne i loro caratteri più intimi, al di là dell’oggetto dell’indagine. Metaforicamente si potrebbe dire che ricercando il lato oscuro della Luna abbiamo trovato uno specchio e visto noi stessi.
La Lune, Grand Palais, Parigi dal 3 aprile al 22 luglio 2019.
Marco Gandolfi Ama l’arte. Prova a condividere l’amore.